Ciampi grazia il «bandito» Mesina

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piadina°
00mercoledì 24 novembre 2004 13:41
ROMA - Il capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi ha graziato il «bandito» Graziano Mesina. Il presidente della Repubblica ha annunciato anche di voler graziare anche Ovidio Bompressi condannato per l'omicidio del Commissario Luigi Calabresi, delitto per cui è in carcere anche l'ex leader di Lotta Continua Adriano Sofri, ma il ministro della Giustizia Roberto Castelli si è opposto. Per questo Ciampi si è riservato la decisione.
Sulla questione di chi sia il reale detentore del potere di grazia i costituzionalisti sono infatti divisi: secondo alcuni in questo caso l'atto del capo dello Stato non avrebbe bisogno di essere controfirmato dal Guardiasigilli come prevede la Costituzione, secondo altri invece l'assenso del ministro della Giustizia è in ogni caso indispensabile.
Oltre a Mesina sono stati graziati da Ciampi anche Aldo Orrù e Luigi Pellè. Pellè, ex carabiniere in forza alla Dia, stava scontando una condanna per omicidio, per aver ucciso un giovane che stava rubando un'automobile. I fatti avvennero il 18 aprile del 1993. Svegliato all'alba da rumori provenienti dalla strada, Pellè notò, dalla sua abitazione di via Romania, a Torvajanica, tre giovani intenti a rubare un'auto. L'ex agente prese la pistola d'ordinanza e sparò alcuni colpi, ma uno di questi raggiunse Giuseppe Celiani, di 17 anni. Il ragazzo morì dopo un mese di coma.
MESINA - Sessantadue anni, di Orgosolo, Mesina ha trascorso circa 40 anni in carcere per il cosiddetto meccanismo del cumulo delle pene.
Penultimo di dieci figli di Pasquale Mesina, pastore, e Caterina Pinna, Graziano («Grazianeddu» per gli amici) fu arrestato la prima volta a 14 anni per porto abusivo di pistola e oltraggio a pubblico ufficiale. Ottenuto il perdono giudiziale, tornò in carcere nel maggio del 1960 per aver sparato in luogo pubblico. Risale proprio ad allora la prima evasione: scappò, infatti, dalla caserma dei carabinieri, ma venne catturato e condannato a sette mesi. La svolta criminale arrivò la sera dell' antivigilia di Natale del 1961, allorchè entrò in un bar di Orgosolo e ferì a colpi di pistola un pastore «reo» di aver sparlato della sua famiglia, accusandola del sequestro e uccisione di un possidente, Pietrino Crasta. Arrestato e condannato a 16 anni per tentativo di omicidio, «Grazianeddu» imboccò la via che, attraverso clamorose evasioni (da un treno, da carceri e caserme) e i primi sequestri di persona, ne fecero la «Primula rossa» del banditismo sardo. La sua «leggenda» si infranse il 26 marzo del 1968 ad un posto di blocco: una pattuglia della stradale fermò un'auto e nonostante un tentativo di sviare gli agenti («mi chiamo Carta») Mesina venne riconosciuto e arrestato. Nel 1973, mentre sta scontando il cumulo delle pene inflittegli per i sequestri e le evasioni, provò a scappare prima da Volterra e poi da Regina Coeli. Ci riuscì nel 1976, quando evase dal carcere di Lecce insieme all'esponente dei Nap Martino Zichitella. Arrestato l'anno dopo in Trentino, finì in quel dimenticatoio che cercava da tempo per fuggire da un passato da cui non riusciva a liberarsi. Ma nel 1992 venne di nuovo catturato dalle luci della ribalta quando tornò in Sardegna per occuparsi del sequestro del piccolo Farouk Kassam, una vicenda segnata dalle polemiche sulla liberazione del bambino e sul ruolo che avrebbe avuto proprio Mesina. Quella che in molti - e forse lui stesso - hanno considerato una sorta di «nemesi» arrivò l' anno dopo quando vide riaprirsi le porte del carcere in seguito al ritrovamento di armi nel cascinale di San Marzanotto d'Asti, dove viveva.


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