Carmelo Bene. Il resto è silenzio

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marlowe
00sabato 6 aprile 2002 21:15

Non so se qualcuno di voi abbia mai avuto l'occasione, e la fortuna, di vedere Carmelo Bene in scena. Non so che opinione e che immagine abbiate di lui, se pure ne avete una.
Non so quanto le cronache pettegole, che lui alimentava con irresponsabile e masochistico compiacimento, abbiano in qualche modo cancellato la sua verità di artista, di genio del teatro, sovrapponendo ad essa l'icona di un personaggio pubblico discusso e discutibile, persino sgradevole.
In questo senso il suo destino ricorda molto da vicino quello di Oscar Wilde: un genio ridotto a relitto da un perbenismo tignoso, impegnato a vendicare il rifiuto dell'artista a lasciarsi annettere e omologare.
Ma questo, adesso, mi interessa poco.
Quello che invece profondamente mi addolora è che se ne sia andato, a soli 64 anni, un grande, grandissimo, unico e irripetibile artista.
Io, di Carmelo Bene - dei suoi spettacoli - ho ricordi indelebili, emozionanti, meravigliati e meravigliosi.
Che ripercorresse Shakespeare, reinventandolo e, con prodigiosa umiltà, esaltandolo e spiegandolo; che delirasse cinematograficamente; che reinventasse Pinocchio, riusciva sempre a dare la sensazione che il mondo fosse troppo piccolo e troppo stupido per poter contenere il prodigio del miracolo teatrale: essendo la vita, il destino dell'uomo, solo teatro, e cioè solo parola: "Teatro, teatro, teatro e poi... teatro nel teatro", come diceva Pirandello.
E lui era lì, in scena, nero nel buio, guizzante a tratti solo di qualche lampo di luce e di sudore, a testimoniare che nella vita - bruta e brutale - lo spirito soffia e, come è ineluttabile, soffia dove gli pare; e l'arte - l'attore - è solo un tentativo, una tensione malcerta e dolorosa, di soffiare con lui, con lo spirito, di farsi spirito, di essere, per non essere, null'altro che flatus vocis...
Perchè era attraverso la voce, nella duttilità di una voce trascolorante oltre tutti i timbri vocali immaginabili (una voce che aveva avuto in dono dalla natura allo stesso modo con cui Maradona ebbe il talento della palla, Ken Rosewall quello della racchetta da tennis, Joe di Maggio quello della mazza da baseball, Glenn Gould quello del pianoforte) che Carmelo Bene penetrava nel mistero della poesia, della fantasia, della parola, della creatività, del suono evocativo...
Non dimenticherò mai un suo recital dedicato a Leopardi.
Non dimenticherò mai la sua voce che si fondeva e si sublimava nei versi di "A Silvia", l'indefinibile nenia cantilentante in cui tutto - lui, il teatro, le luci, i sussurri, i respiri, il pubblico - si liquefaceva nel puro suono, sottratto persino alle parole, di quel "canto che s'udia per li sentieri lontandando morire a poco a poco..."
E anche a me, ripensandoci, si stringe il cuore.




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Saluti
Marlowe
taddeus
00domenica 7 aprile 2002 09:17
non posso dire null'altro se non che mi affascinava
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