Channel Zero

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00martedì 5 febbraio 2002 22:54
Se pensate che X-Files non sia solo un telefilm ma la tragica cronaca della realtà in cui viviamo (con il Governo che spia, sobilla, insabbia, costringe); se credete che oggi si stia peggio di ieri e meglio di domani; se siete convinti che qualcosa decisamente non vada nell’apparato massmediatico di questo terzo millennio... allora tranquilli, non siete i soli. Oh, e benvenuti su “Channel Zero”, naturalmente.
“Channel Zero” è, probabilmente, il prodotto più “forte“ pubblicato negli States negli ultimi anni: il più “anarchico”, forse. Sicuramente, il più coraggioso. È una storia, questa, che a volte disturba per la sua impietosa analisi della società democratica per eccellenza, ma che, onestamente, ne mette a nudo le numerose crepe strutturali, senza ipocrisie e fastidiose sicumere da intellettuali. Gli Stati Uniti immaginati dall’ottimo Brian Wood non sono molto dissimili da quelli odierni, ma la situazione è decisamente più spaventosa: per evitare una (probabile) seconda guerra civile, il Governo decide di accontentare la destra cristiana (negli USA davvero potente, anche nella realtà) e mette così sotto controllo tutti i media con una legge speciale, il Clean Act. Con i risultati che tutti noi possiamo immaginare: niente più libero pensiero, niente più opinioni “contro”, niente più libertà di parola (alla faccia del Primo Emendamento). Chiunque voglia dire la sua, è costretto ad agire illegalmente e clandestinamente. E ad essere braccato per questo. “Channel Zero” (canale Zero) è un canale di informazione, libera e “pirata”, che nasce proprio per opporsi al Sistema: trasmette come/dove può, con mezzi diversi, senza controlli e censure. È ideato e condotto da Jennie 2.5, una laureata in massmediologia che, costretta dalle nuove e restrittive leggi che governano l’America a restare ai margini del mercato, decide di non restare a guardare, di reagire contro l’appiattimento generale dell’informazione, contro la sempre più pressante censura a cui i media sembrano incapaci di rispondere/resistere. Decide, in soldoni, di vivere libera. E di (ri)comunicare agli altri quel senso di libertà che sembra oramai seppellito da pubblicità e disinformazione.
Lo stile grafico scelto da Brian Wood (un bianco e nero forte, eccessivo, deciso, frammisto a foto e a “messaggi subliminali”) accompagna egregiamente una narrazione “romanzata” (cui si alternano gli scarni dialoghi) e situazioni di chiara derivazione contestataria (contro il consumismo, l’apatia, l’ipocrisia di una società che si crede/proclama perfetta; contro la censura, soprattutto, che tutto vuole controllare e appiattire, senza una vera critica; senza un vero confronto di idee).
Non ci sono eroi, qui. Persino la protagonista è presentata sotto luci che, anziché chiarire, confondono la narrazione con il dubbio (fa quel che fa perché ci crede davvero o perché vuol solo “esserci”?); e alla fine del primo arco narrativo (i primi tre capitoli), siamo persino portati a mettere in discussione il suo vero ruolo nella vicenda, visto che, dopo aver orchestrato la narrazione fino al suo climax obbligato, Wood, a sorpresa, disinnesca il suo “giocattolo”, inducendoci quasi a sospettare che lei, l’eroina, altro non sia che un’agente prezzolata dal Governo per tenere le masse occupate...
L’America qui rappresentata è una nazione ormai vittima di se stessa, delle sue paure, dei suoi pregiudizi, delle sue stesse idee. Non a caso, uno degli scrittori più “politicizzati” del momento, Warren Ellis, ha parlato di “Channel Zero” come di un “brutto sogno paranoico di una Nazione Televisiva”. ‘Nuff said.

di Giuseppe Pica



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