Venerdì sera Rai Tre ha trasmesso, purtroppo senza pubblicizzarlo a sufficienza, “I cento passi”, un film duro e lucidissimo che racconta la vera storia di Giuseppe Impastato, nato a Cinisi il 5 gennaio del 1948 da famiglia con parentele e connivenze decisamente mafiose.
Giuseppe trascorre i primi anni della sua vita immerso nel denso clima della provincia palermitana, con i suoi sguardi bassi, le voci che sussurrano e mai si levano contro una mano lunga e invadente, contro un potere di cui non si parla ma si sa, contro un uomo, Tano Badalamenti, che abita proprio nella stessa via di Peppino, a cento passi dalla porta di casa sua. Dopo gli studi, Giuseppe si avvicina alla politica e al socialismo, fonda dapprima una rivista (“L’idea socialista”) e quindi Radio Aut, emittente privata che gestisce assieme ai compagni. Dai microfoni di Radio Aut Giuseppe si fa portavoce di una limpida e mirata protesta contro la mafia, l’omertà e tutto il sistema di “valori” che le ruotano attorno. Osa quel che nessuno prima di lui aveva osato: parlare apertamente di Badalamenti come di un boss, del boss che ha in suo potere vita ed economia di buona parte della Sicilia. Nessuno fa del male a Peppino, nonostante i suoi beffeggi e il suo disprezzo: ma è proprio la mafia che lui combatte a proteggerlo, anche se lui non se ne rende conto. La morte accidentale del padre fa crollare il castello di carte che era l’unica protezione per Giuseppe: nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1978, Giuseppe, come si leggerà dai documenti ufficiali, si suicida, facendosi saltare in aria nel tentativo di preparare un attentato di stampo terroristico. Sono i giorni del sequestro Moro: la tensione è palpabile e gran parte della sinistra è vista come direttamente collegata alle BR. La vicenda Impastato segue la regola di quei momenti e il caso è archiviato senza troppi complimenti.
Peccato che Giuseppe abbia scelto un modo un po’ strano per suicidarsi, lasciando la macchina ben distante dal luogo in cui saranno ritrovati i brandelli del suo povero corpo, provvedendo a macchiare del suo sangue le pietre lì vicine.
La madre di Peppino si ritrova a vegliare una bara vuota, sola con quella famiglia che il figlio aveva tenacemente ripudiato in vita e che anche lei sente come estranea a sé. Ma la gente non ha dimenticato Giuseppe e il film si chiude con una delle sequenze più belle che io abbia visto recentemente: un corteo accompagna la bara di Peppino per l’estremo saluto, sulle note di “A whiter kind of pale” sfilano giovani e meno giovani, urlando la loro rabbia e il loro no alla mafia. Il corteo si ferma sotto casa di Badalamenti: quei cento passi non esistono più, perché non esiste più la paura cieca, la voce di Peppino ha colmato quel vuoto che l’omertà mafiosa aveva cercato di imporre.
Avevo pianto, la prima volta che ho visto il film. Ho pianto anche questa volta, anche se sapevo che immagini avrei visto, che musica e che parole avrei sentito. Non è possibile rimanere indifferenti di fronte allo schiaffo durissimo che Marco Tullio Giordana ha voluto dare raccontando di questo ragazzo che non ha la stessa fama di Falcone o Borsellino o di altri martiri della mafia.
Giuseppe Impastato ha lo sguardo nero e profondo di Luigi Lo Cascio, splendido interprete di una storia che, forse, ha una conclusione. L' 11 aprile 2002, alle ore 17,15, la Corte d'assise di Palermo ha condannato Gaetano Badalamenti alla pena dell'ergastolo come mandante dell'assassinio di Peppino: sono passati 24 anni.
A chi non lo avesse ancora visto, cinsiglio un salto in videoteca: ne vale davvero la pena. Vale anche la pena di consultare il sito
del Centro Impastatoche raccoglie documenti e notizie a riguardo.
Gran Cassiera Mentecatta - al momento sono
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[Modificato da Chiar@ 25/03/2003 14.18]