L'argomento non è leggero, ma vi consiglio caldamente questo splendido libro, da leggere e rileggere: posto qui sotto una breve recensione e due link di approfondimento.
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Art Spiegelman è nato nel 1948. Dieci anni prima veniva al mondo un fratello che egli non conobbe mai, sparito in quella voragine che tutto si è presa - ghetti, fucilazioni, campi di sterminio, ciminiere, fosse comuni. Ma questo libro, una delle cose più spietatamente "autentiche" mai scritte sulla Shoah, dove non c'è una sola riga di testo o tratto di matita in cui si tenti qualsivoglia accorgimento per mediare la tragedia, spiega a lettori di ogni età che c'è qualche cosa di peggio, o meglio di "oltre" lo sterminio di sei milioni di persone. Questo qualcosa è stato, è e sempre sarà - perché non c'è distanza che stemperi - l'entrare nelle vite di allora e di dopo per dilaniarle da dentro come un tarlo obbrobrioso. Raccontando a fumetti la storia di suo padre e sua madre (morta suicida nel 1968, in America) Spiegelman scava nell'intimo e nel fondo della coscienza - di carnefici, vittime, spettatori e sopravvissuti. "So che è pazzesco, ma a volte avrei voluto essere ad Auschwitz con i miei per capire cos'hanno passato! ... il mio credo sia un senso di colpa per avere avuto una vita più facile della loro". Nel racconto in cui gli ebrei sono topi e i nazisti hanno volto di gatto, la rievocazione strappata ai frammenti di vita che il padre estrae da una lucida memoria s'alterna a scene attuali - Art alle prese con le manie, i vizi e le ossessioni del genitore. Ma anche con le proprie. "Comunque le vittime che sono morte non potranno mai dire la loro sulla storia, per cui forse è meglio non scriverne più", osserva lo strizzacervelli di Art, anch'egli un ebreo scampato ad Auschwitz, svitato come si conviene a uno psicanalista e generoso di verità che fanno crescere Art - il quale in seduta raffigura se stesso di nuovo bambino. Difficile dire se questo libro, costato al suo autore decenni di lavoro, rielaborazioni e sofferenza, riguardi più lui o suo padre. La storia di entrambi gronda sangue e linfa, il nodo di sensi di colpa e dolore di perdita è un groviglio che entrambi avvolge. In "Maus" non c'è un solo accenno di ironia, non c'è un solo sguardo venato di prudenza né una parola mitigata dalla distanza: quel passato non ha fine né rimedio.
Recensione di "La Stampa Web"
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www.stanza101.com/re48.htm
www.comune.modena.it/glamazonia/articoli/maus/maus.htm