Oscar, vince la cattiva coscienza d'america

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Myst
00martedì 26 marzo 2002 00:59
vi rimando un'articolo del Nuovo.it con cui concordo quasi del tutto (tranne la stroncatura ad amelie che per me avrebbe meritato il riconoscimento di miglior film straniero). Naturalmente mi aspetto le vostre opinioni a riguardo....

Tutto e il contrario di tutto: dalla stalle alle stelle e viceversa, coraggio e conformismo, sobrietà e noia, emozione e accademia. L'America del dopo undici settembre confeziona un'edizione degli Oscar sdraiata sulla linea del più vieto "politicamente corretto" andando alla ricerca di una saldatura tra gli impulsi liberal e la tradizione industrial-spettacolare. Cerca di cancellare la cattiva coscienza sulla questione del razzismo offrendo alla storia del premio e del costume nazionale la doppia affermazione (maschile e femminile) dei protagonisti di colore, si premura di sfoderare i fazzoletti della commozione trionfale a un film largamente convenzionale sulla malattia e sulla diversità come A Beautiful Mind e, nello stesso tempo, argina qualunque ipotesi di riconoscimento alternativo.

L'ombra della guerra pesa su una cerimonia, trattenuta nei lustrini e nella pompa, che porta Woody Allen sul palcoscenico per un omaggio a New York e alla sua tragedia, ma, poi, quando è il momento di ricordare le vittime e gli eroi della strage della Torri Gemelle il silenzio commemorativo è sbrigato in una manciata di secondi. Gli unici che non sembrano imbarazzati sono i vincitori, ben decisi a non rinunciare ai loro fluviali e stucchevoli ringraziamenti: se gli autori dei cortometraggi spendono parole per un tempo più lungo delle loro stesse opere, Halle Berry si concede persino una gioia lacrimosa e isterica con gesti verso la platea che ricordano lo strazio di una madre indicante il cadaverino del figlio.

La compostezza mummificata e l'eccesso comportamentale si inseguono per quattro ore, lasciando un forte sospetto di carte truccate o almeno largamente preparate alla vigilia, contraddicendo una "campagna elettorale" virulenta caratterizzata da palate di fango sull'integrità degli avversari. L'unica vera sorpresa arriva dalla sacrosanta sconfitta di "Amélie": una bastonata inaspettata manda all'aria i piani della Miramax che alle sorti non magnifiche e neppure progressive della fiaba francese aveva sacrificato le possibilità della Stanza del figlio. Realizzata in maniera che strizzasse le papille gustative del pubblico americano, Amélie ha sbattuto il suo illusionistico buonismo contro la realtà di un mondo che non è per nulla favoloso: così No Man's Land, evocazione ironica e crudele del conflitto bosniaco, ha fatto valere non solo i suoi superiori meriti artistici ma anche l'impatto debordante di un tema d'angosciosa attualità.

Alla vigilia, le scelte delle nomination indicavano un ottimo percorso guida, ma, con poche eccezioni, è stato imboccato il sentiero peggiore. Intanto le quattro statuette a A Beautiful Mind sono troppe nella specificità e nell'importanza. Impossibile credere che un regista alla camomilla televisiva quale Ron Howard possa mettere in fila il talento di Altman, Jackson e Lynch o la maestria nella acrobazie tecniche di Ridley Scott: era e resta il meno dotato dei cinque, eppure da ultimo è diventato primo. Come se non bastasse A Beautiful Mind è stato valutato superiore a Gosford Park, Il Signore degli anelli e In the Bedroom. E solo chi non ha letto il capolavoro di Tolkien resta indifferente di fronte alla sua ammirevole trasposizione in racconto cinematografico e può così preferirgli la sceneggiatura tratta, come un compitino in bella calligrafia, dalla biografia del matematico schizofrenico. Solo per il copione originale Gosford Park ha ottenuto una statuetta al di sopra di qualsiasi recriminazione, mentre per il resto Hollywood si è divertita a punire la dimensione di figlio ribelle e per nulla prodigo incarnata da Robert Altman.

Sugli attori le polemiche feroci della comunità afroamericana hanno innescato l'effetto speciale di un duplice risarcimento per anni di vergognosa emarginazione. Nell'edizione in cui si omaggiava la carriera di Sidney Poitier (e il pugnace animo democratico di Robert Redford), l'Academy ha rotto gli indugi, anche per rinfocolare il clima di solidarietà nazionale: la bravura di Denzel Washington e Halle Berry è solare, ma Tom Wilkinson e Sissy Spacek hanno probabilmente qualcosetta di cui lamentarsi. Così come Il Signore degli Anelli e In the Beadroom: il kolossal è stato solo citato per i contributi tecnici, mentre il notevole melò veniva completamente e colpevolmente dimenticato.

Nulla da eccepire su Jennifer Connelly, Jim Broadbent e su Shrek. L'Italia, infine, ha alzato il trofeo grazie a un montatore geniale quale Pietro Scalia, figlio riconoscente di una bottega artigianale che non è mai povera di ingegni, anche se spesso costretti a lavorare dove il cinema campa di industria e non sopravvive di sovvenzioni statali. Dunque, non tutta l'Academy viene per nuocere. Anche se alcuni suoi errori sono peccati mortali che solo i catecumeni del "politicamente corretto" avranno la buona grazia di assolvere e benedire.

p.s.

MARLOWE MA DOVE SEIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII


[myst]
Donia
00martedì 26 marzo 2002 01:08
Domani prometto che gli faccio uno squillo al tel!!

L'articolo me lo devo leggere bene!
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Donia|e-mail |Sms
....Voci nel Web....
Battitore
00martedì 26 marzo 2002 10:06
meglio tardi che mai
Moran
00martedì 26 marzo 2002 19:36
Il discorso della "cattiva coscienza" è verissimo.
Non ho visto "Gosford Park" e non posso quindi dire se Altman sia stato maltrattato o meno (ma in molte occasioni è stato largamente sopravvalutato). Non condivido le critiche eccessive a Ron Howard, e francamente la candidatura di Ridley Scott quest'anno, per un filmetto propagandistico pro-USA, era ridicola.
Giustissimo, a mio parere, l'oscar a "No man's land", che è il migliore film in assoluto uscito quest'anno, a pari merito con "The Others". Se l'Academy non seguisse le sue logiche interne, sarebbe stata sacrosanta la statuetta come migliore attrice per Nicole Kidman per quest'ultimo film (al posto della ridicola candidatura di quella soap televisiva che è Moulin Rouge): niente da dire, Halle Berry è brava, ma come attrice è diversi gradini sotto.
Anch'io sono un fanatico di Tolkien: anche a me è piaciuto "Il Signore degli Anelli": ma non credo che fosse il miglior film della cinquina.
Denzel Washignton ha meritato, certo, ma avrebbe meritato di più in passato, e credo che Russel Crowe (che cmq non può lamentarsi, avendo vinto un Oscar per quella porcheria immonda che è "Il Gladiatore") e Sean Penn abbiano qualcosa da recriminare.
Sono molto curioso di vedere Will Smith in "Alì"... forse un oscar a lui sarebbe stato veramente una scelta coraggiosa.
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Cordiali saluti,
John Sebastian Moran, jr.
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