Forse adesso, forse, comincio a capire. Noi qui non stiamo parlando di film, stiamo parlando di noi stessi, della nostra soggettività, come peraltro è già stato accennato. Soggettivamente parlando tutto è legittimo nella stessa misura in cui però tutto è anche arbitrario. Tu Sarah hai, e ci mancherebbe altro!, il diritto di affermare che Charlie Chaplin non ti piace, che i suoi film ti annoiano, che gli preferisci altri autori. Così come io posso tranquillamente affermare che non mi piace Albert Einstein, che la teoria della relatività mi fa addormentare, che i suoi libri non li leggo e che preferisco i bei polpettoni di Ken Follet o Wilbur Smith. Soggettivamente ho ragione. Oggettivamente Chaplin e Einstein restano due geni, due autori di opere fondamentali nella storia del cinema, della scienza e dello spirito; mentre Ken Follet e Wilbur Smith rimangono due abili e fortunati artigiani della parola.
Per questo mi sento di dire che "quella sensazione" non è qualcosa che sta dentro un film, che noi prendiamo, ci portiamo via e con la quale poi, nella gratificazione o nell'irrequietezza, conviviamo; ma qualcosa che sta piuttosto dentro di noi, nascosta nei nostri profondi recessi psicologici, negli strati inconsci della nostra psiche, qualcosa di silente e che per vibrare ha bisogno di un piccolo shock emotivo. Ecco allora che ci si pone di fronte al film come di fronte a un sogno e, se ci pensate, i film sono fatti della stessa "materia" di cui sono fatti i sogni: luce, ombra, escursioni nel tempo, atmosfere, pulsioni, allucinazioni; e come i sogni possono essere subito dimenticati o permanere a lungo nella memoria, indipendentemente dal contenuto e dalla qualità della "rappresentazione". In questi casi, non ci dobbiamo chiedere perchè certi film non ci emozionino come altri, non dobbiamo addentrarci su un terreno critico, non dobbiamo, in altre parole, capire il film; ma dobbiamo capire noi stessi e chiederci perché ci siamo emozionati in quel modo, che cosa ha fatto scattare dentro di noi "quella sensazione", qual è la corda che si è messa a vibrare e che, sull'onda di una associazione emotiva, di una specie di cortocircuito psichico con il film, continua a farlo per lungo tempo. E questo non è più territorio cinematografico. E' il territorio della psicologia, forse della psicanalisi.
PS
Sarah. Su "Professione reporter" sono d'accordo con te al cento per cento.
Mi permetto di consigliare a tutti il film di Almodovar "Parla con lei" e quello di Guédiguian "Mari Jo e i suoi due amori".
Voglio vedere se non vi emozionano, non vi commuovono, non vi fanno soffrire, non vi entrano nell'anima.
A meno che non abbiate il sangue di Alien, la mente di Nosferatu e il cuore di Terminator.
Ditemi che non siete così.