Ho fortemente e rigorosamente represso il desiderio di lasciarmi andare a una trattazione saggistica su Woody Allen. Sul personaggio esiste del resto una bibliografia sterminata: recensioni, pamphlet, biografie non autorizzate, denunzie giudiziarie, perizie di tribunale, autobiografie, antologie di dialoghi, raccolte di battute, dossier scandalistici, profili psicanalitici, articoli, saggi ponderosi, tesi di laurea, volumi di pettegolezzi: un repertorio che sfida la bibliografia napoleonica.
Così però rischiavo inevitabilmente di diventare più noiso dello stesso Allen quando semina di tedio (a piene mani) i suoi film.
Woody Allen, che ammiro moltissimo, mi ha molto divertito con i film d'esordio, mi ha incantato e sedotto con "Manhattan", mi ha intrattenuto con "Radio Days", mi ha irritato con "La rosa purpurea del Cairo", "Zelig" e qualcun altro (non pochi) dei suoi film; con altri mi lasciato del tutto indifferente.
Il fatto è però che anche nel più brutto film di Allen, qualcosa da salvare c'è sempre: una battuta, una riflessione, un'espressione, una notazione psicologica. Troppo poco per salvare un intero film, troppo per gettarlo via.
Il suo dramma è quello di volere sempre essere intelligente; e un'intelligenza che non riposa mai alla fine si surriscalda, va in fuori giri, farnetica o farfuglia. Viene la tentazione di suggerirgli: per favore, signor Genio, potrebbe sforzarsi di essere un pochino stupido. Esca, la prego, dal suo personaggio. Diventi, magari anche poco e per poco, un uomo.
Per cavarmela, alla Woody Allen, con una battuta, direi che per uno che ha sempre avuto da raccontare soltanto se stesso 28 film sono troppi. Nemmeno Dio, con la Bibbia, è stato così prolisso.
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Saluti
Marlowe
[Modificato da marlowe 04/02/2002 10:07]