00 26/11/2002 11:51
Il Kgb e la difesa della categoria
di Gianluigi Da Rold


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A sorpresa il Corriere della Sera, dopo aver guidato l’assalto intercontinentale sulla Tangentopoli russa, ha rivelato che sono in circolazione documenti del vecchio KGB su spie italiane. Tra queste spie, non vi sarebbero solo diplomatici, oltre a venditori di piastrelle di Carpi e di zamponi di Modena, ma anche giornalisti, anzi famosi giornalisti. La scoperta, in questo caso, non l’ha fatta il Corriere ovviamente, ma gli inglesi, che stanno raccogliendo, e pubblicando, la grande documentazione del vecchio apparato spionistico sovietico in tutto il mondo occidentale. C’è da pensare che ne vedremo e ne sapremo delle "belle", se non interverrà una qualche procura della Repubblica ad archiviare tutto o una commssione d’inchiesta a "ragionare" sulla possibilità di non invadere la privacy di alcune persone, che, nei "paesi normali", vengono accusate di alto tradimento. Sarà proprio curioso notare quali colleghi famosi si sdoppiavano, schizofrenicamente, tra il rigoroso lavoro di direttore editoriale o di corrispondente all’estero o di inviato speciale e quello di spia al servizio dei killer del KGB. Intendiamoci, la scoperta fatta dai ricercatori negli uffici della Lubjanka e le pubblicazioni che appaiono in tutto il mondo sono per molti solo la "scoperta dell’acqua calda". Bastava leggere con attenzione la frenetica attività con i russi di Armando Cossutta, tra tangenti sui barili di petrolio a favore dell’imprenditore "progressista" Luigi Remigio e della stampa comunista in Italia, per rendersi conto di quale apparato di informazione possedesse, nel Belpaese, il servizio segreto sovietico. Bastava ricordare l’impudenza e la sicurezza di Marcus Wolf, l’ex capo della Stasi (il servizio segreto della Germania comunista), nella sue interviste: "A un certo punto, in Italia, smettemmo di usare parlamentari", per comprendere quale livello di infiltrazione e di infezione comunista avesse il nostro paese, che, formalmente, stava nell’Alleanza atlantica, con la Nato, contro i russi.

E poi una raffica di libri, pubblicati o "ostacolati" dall’editoria cosidetta democratica, che parlavano apertamente della rete spionistica italiana, degli affari tra il vecchio apparato di Botteghe Oscure e il KGB, tra aziende italiane e il PCUS, tra informatori di tutti i tipi e i "figli" di Berja. Tutti, in Italia, facevano finta di nulla. Si sapeva e non si parlava. Anzi, al contrario, si crminalizzavano i "gladiatori", "Stay behind", il presidente Cossiga e via elencando. E adesso? Aspettando liste ed elenchi che, prima o poi usciranno, interviene, sempre sul Corriere della Sera, il grande Indro Montanelli per banalizzare il tutto, per "sorvolare", per invitare ancora gli italiani a occuparsi di altre cose: forse i programmi della "Zingara", il campionato e qualche altro libro illuminante sulla vita giornalistica. Dalla sua cattedra di decano del giornalismo, Montanelli ci spiega che ambasciatori e giornalisti italiani al servizio del KGB rappresentano una specie di avanspettacolo. Che bisogno c’era, si chiede Montanelli di reclutare giornalisti e diplomatici quando in Italia c’era il partito comunsita più ortodosso del mondo? Sorpresa! Ma come? Non è stato proprio Montanelli, nel suo recente passato (occorre precisare recente, perchè le capriole politiche e ideologiche di Indro sono pari alle evoluzioni degli acrobati del Circo Togni) a riqualificare i comunisti e i postcomunisti? Non è stato Montanelli a scrivere, nemmeno un mese fa (sul Corriere), che Cossutta è sempre stato "un uomo di buon senso"? Non è stato lui, in questi anni, a trasformarsi in uomo del fax, per incitare alla condanna dei "ladroni" che, secondo altri, erano invece degli avversari irriducibili di quel partito comunista e delle attività annesse e connesse tra PCUS e PCI? Forse Montanelli anticipa una difesa d’ufficio del giornalismo italiano, di cui lui è il personaggio più rilevante, che toccherà a molti altri. Certo, fare la figura di non essersi mai accorti di nulla, non capire che all’interno delle redazioni dei giornali c’era qualcuno che telefonava agli agenti di Andropov, sarebbe un colpo mortale per "l’intellighentsia" giornalistica italiana. Adesso è meglio banalizzare, parlare dei giornalisti italiani come di "personaggi da avanspettaccolo". Il vecchio Montanelli si erge nei suoi giudizi quasi come il generale tedesco von Thoma, uno che sapeva dirne quattro anche al Furher, quando gli giravano le scatole. Thoma disse alla stratega e storico Liddell Hart che "Un soldato inglese valeva più di dodici soldati italiani. Gli italiani sono bravi lavoratori, ma non amano il rumore degli spari". Più o meno come Thoma, Montanelli sostiene che gli italiani sono dei "paradeficienti" imbelli, che,nel caso specifico, non sanno mantenere segreti e non sanno trovare notizie, quindi sono anche inutili come giornalisti-spie, come era invece l’inglese, giornalista-spia, Kim Philby. Complimenti a Montanelli per la difesa di se stesso e della categoria!

Gianluigi Da Rold