00 26/11/2002 12:10
Nordio: "Nessun partito è senza peccato"

di Gianluca Versace e Franco Colombini

"Il cittadino deve essere parte in causa nel confronto che opporrà l’acquiescenza verso la tradizione al fermento della riforma. E l’informazione è potere, ma è anche, e soprattutto, libertà". Parola-manifesto del pensiero illuminista di Carlo Nordio, 52 anni, trevigiano, Sostituto procuratore della Repubblica alla Procura di Venezia. Famiglia di avvocati, Nordio è entrato in magistratura nel ‘77. Dal ‘79 all’82, anno in cui ha condotto l’istruttoria nell’indagine sulle Brigate Rosse nel Veneto, è stato giudice istruttore a Venezia. Tra l’85 e l’88 ha coordinato le indagini sui rapimenti e dal ‘92 ha condotto tutti i processi della "Tangentopoli veneta". È consulente della Commissione parlamentare sul terrorismo e le stragi. Scrive abitualmente sul "Gazzettino", "Il Tempo" e "Il Secolo XIX". Entriamo nell’attico a Treviso, dove vive con la moglie Maria Pia. Ha la biblioteca di legno zeppa di libri, anche antichi. In giro scorgo le vignette originali di Forattini e quadri d’autore. Sediamo su poltrone in pelle. Quella che segue è la lunga conversazione con questo Pm, come dire, "d’opposizione" (alle toghe politiche): Nordio è un magistrato equilibrato, liberale e colto, colui che osò fare l’inchiesta sulle "coop rosse" e inquisire (e poi prosciogliere) Massimo d’Alema. Nordio si gira tra le mani, il suo libro (dopo il fortunato "Giustizia" del ‘97: 60 mila copie vendute): "Emergenza Giustizia" (stesso editore, Angelo Guerini Cantiere Italia, Milano). La copertina è una specie di paradosso cromatico: è rosso sgargiante...

Dottor Nordio, quanti anni è andata avanti la sua inchiesta più famosa, quella sulle "coop rosse"?

"Quattro. Tre dall’iscrizione degli imputati più importanti".

Non è un pò troppo?

"Sì, è un tempo irragionevolmente lungo, ma compatibile con le risorse della Procura di Venezia dove siamo in pochi e ogni magistrato si occupa di tutto". Ha chiesto il rinvio a giudizio per 93 persone, ma ne ha indagate 278...

"Il fascicolo consta di 40 mila pagine, l’atto terminale di oltre 200, le persone coinvolte in un modo o nell’altro sono oltre 500".

Dicevamo, è stata battezzata l’indagine sulle "coop rosse". Ma coincide con la "Tangentopoli rossa"?

"Ma queste sono definizioni giornalistiche... Comunque il primo processo, dove furono coinvolti assieme ad esponenti di Dc e Psi anche personaggi che chiamate ‘rossi’, fu quello che riguardava il troncone degli ospedali".

E che fine ha fatto?

"Chiesi il rinvio a giudizio nel ‘93, poi il Gip ha spedito gli atti a Rovigo per competenza. Rovigo ha sollevato conflitto davanti alla Cassazione che mi ha dato ragione fissando di nuovo la competenza a Venezia. Siamo ritornati davanti al Gip...".

Lei indagando su Bernini, ex leader doroteo della Dc, e su De Michelis, che fu l’incontrastato doge del Psi, scoprì che la grande spartizione prevedeva l’assegnazione di quotelavoro alle "coop", anziché tangenti. Un meccanismo astuto di copertura. E infatti si sono viste le difficoltà di trovarvi i fattireato. Ma perché questa riserva di appalti non fu contestata come reato?

"Questo fenomeno è comune a tutti i processi di Tangentopoli. È un fatto politicamente rilevante, ma non necessariamente un reato, se alla riserva di lavori non corrisponde la retribuzione di pubblico ufficiale".

Cioè a dire la corruzione! E considerarlo almeno un finanziamento illecito?

"È un passo successivo. I lavori non andavano al Partito Comunista, che non ha una attività di quel tipo, ma alle cooperative. Ma poiché emergeva un rapporto organico con il partito, si è lavorato sull’ipotesi che questo ne fosse il beneficiario".

Una ipotesi. Con che risultati?

"È stato provato a Rovigo con i finanziamenti al giornale ‘La Risposta’, un miliardo di pubblicità inesistente proveniente dai profitti dell’imprenditore Donigaglia. È l’unico caso diretto, negli altri la prova non è stata trovata".

Le coop edilizie allora pagarono le mazzette!

"Sì. È pacifico, è stato ammesso dai diretti interessati. Ma lì le responsabilità sono rimaste relegate in ambito locale".

L’inchiesta che ha portato a Botteghe Oscure invece è maturata nel settore della cooperazione agricola. Il suo sospetto era che un dissesto generalizzato mascherasse il finanziamento illecito. Cosa ha provato l’inchiesta?

"Secondo l’ipotesi accusatoria, è stato provato che le "coop" ricevevano contributi dalle Regioni e dalle banche, che i soldi non venivano impiegati a fini dell’oggetto sociale ma gestiti in gran parte e in proprio dal signor Alberto Fontana. E Fontana era stato piazzato lì dal partito, come dimostra una lettera del presidente del Coalve che si lamentava con Achille Occhetto della gestione ‘mafiosa’ delle coop agricole".

E i quattrini?

"Fontana interveniva in molte coop, gestiva in modo autoritario e assoluto questa massa di denaro. Lo hanno detto gli altri amministratori e i consulenti hanno dichiarato inattendibile la contabilità".

Che fine ha fatto il denaro?

"È sparito. Non si sa dove".

Dire che le "coop" sono legate al PciPds non è scontato?

"Adesso è ovvio, ma nel ‘93 quando cominciai parlando di un rapporto organico ed economico, le reazioni furono violentissime. Risposero che erano due cose completamente diverse semmai c’era affinità politica. Ma quando scoprii i legami, allora dissero che scoprivo l’acqua calda".

Vicino al colossale "buco" in agricoltura lei pose un altro punto fermo: tutti i partiti hanno speso più di quanto hanno incassato legalmente.

"La testimonianza più commovente fu di Severino Citaristi, che ebbe più di cento avvisi di garanzia: ammise che la Dc si era finanziata in modo illegale, ma disse che il sistema valeva per tutti i partiti. Ormai credo che questo si sia capito bene e che tutti lo abbiamo dichiarato".

Dunque anche il Pds?

"Mi pare che qualcosa sia stato ammesso, certo non fatti di corruzione o concussione. Ma questo non l’ho mai sostenuto, sono convinto che nessun dirigente di partito si sia fatto corrompere o abbia incassato soldi per sé". Questo lo dissero per difendersi in molti. E così nacque il sospetto di una destinazione politica nazionale. Quando avvenne il salto di qualità?

"Quando dalla Procura di Milano arrivò il dossier di un indagato, Borrello, secondo cui il sistema era studiato a tavolino per finanziare PciPds e Psi. E alle riunioni partecipavano D’Alema, Occhetto, Craxi. Così mandai gli avvisi di garanzia".

La Finanza quantificò un "buco" di 120 miliardi nelle "coop" venete. Sembra proprio una cifra, come dire?, per difetto, ridimensionata... "L’entità dei contributi erogati alle "coop", tenendo conto di quelli a fondo perduto delle banche, arriva a una sessantina di miliardi, forse più che meno. La somma fatta sparire dalle "coop" è inve ce molto incerta, perché sono scomparsi i documenti contabili".

Ma poi da quel livello non siete mai più saliti ai piani alti della politica. Perché?

"Guardi, Tangentopoli è deflagrata a dismisura perché tutti i dirigenti di partito per ragioni proprie o perché avevano deciso di togliersi dall’illegalità hanno collaborato. Invece, ogni volta che è stato individuato un responsabile PciPds che ha incassato dei soldi, ha detto di averlo fatto per sé".

Come Renato Morandina, già candidato alla segreteria regionale veneta del Pds?

"Come si può pensare che la Fiat abbia pagato estero su estero 200 milioni a un maestro elementare di Campagna Lupia per uno studio di fattibilità della viabilità del Veneto mai realizzato? Quando a Milano scoprirono che i soldi furono impiegati per la campagna elettorale, Morandina disse che però il partito non lo sapeva. Io ricevetti gli atti passati da Milano a Torino e da Torino a Venezia quando i termini erano scaduti. Così non ho potuto indagare".

Non le pare di aver sparato troppo il alto mettendo nel mirino D’Alema? "Ne discutemmo per un’estate nel ‘95 con l’allora procuratore Fortunati. Feci gli avvisi a malincuore, sapevo che avrebbero potuto essere strumentalizzati a fini politici. Ma la mia teoria è nota a tutti: un ‘avviso’ non dovrebbe avere significato politico, né portare alle dimissioni. Non può essere cioè un atto di condanna, una specie di sentenza anticipata, come è avvenuto negli anni ‘92’93. Ci fu molto clamore con quell’avviso, ma ebbi la soddisfazione di vedere che gli avvocati di D’Alema lo esibirono in televisione. E gli stessi legali poi dissero che avrei dovuto mandarlo prima, tecnicamente parlando". Però sull’attuale premier poi lei non ha trovato prove sufficienti di finanziamento illecito. E alla fine ha scritto: no, non basta il principio del "non poteva sapere". Una perfidia tra colleghi? Per salvare la sua inchiesta ha attaccato i Pm di Milano?

"Non ho letto gli atti dei processi di Milano. Io dico che, chiunque sia indagato, il fatto di essere al vertice di un’organizzazione dove può essere confluito del denaro clandestino non legittima l’assioma che questa persona non poteva non sapere. La responsabilità penale deve essere provata direttamente, con i fatti specifici o con deduzioni logiche che non ammettano soluzioni diverse".

Si è detto che lei alludeva alle condanne di Silvio Berlusconi...

"Rifiuto qualsiasi collegamento con altri indagati che siano ai vertici di un’azienda o di un partito. Dico che la responsabilità penale non può essere dedotta automaticamente da una carica".

Di Pietro, nel caso del Pci-Pds, ha detto che loro scoprirono in tre mesi quello che lei ha scoperto in tre anni. Ha aggiunto che la sua inchiesta sulle "coop" è "stravagante" in senso etimologico, ovvero "extra vagante".

"Non capisco se Di Pietro parli da politico o da magistrato, e in nessuno dei due casi troverei corretto commentare. Rispondo che Di Pietro ha già alcuni problemi con la lingua italiana per potersi cimentare con quella latina". (Nordio ha appena chiesto il proscioglimento di Fabrizio Comencini querelato da Di Pietro con l’accusa di averlo diffamato in un’intervista al "Gazzettino" N.d.R.).

Ha mai avuto la sensazione di un uso politico della sua indagine?

"No. Vede, ho sempre cercato di fare una politica di basso profilo. Tanto mi sono esposto nell’esprimere su vari giornali le mie idee sulla crisi della giustizia nel Paese, tanto ho cercato di non far mai trapelare nessun tipo di notizia".

E ha mai avvertito pressioni politiche?

"Assolutamente nessuna. Di nessun tipo. Mai. Né pressioni, né suggerimenti. Al massimo la manifestazione di aspirazioni della gente comune, che sperava in un certo esito ed è rimasta delusa".

E attacchi personali?

"A parte quello iniziale assai violento dei vertici regionali, l’atteggiamento del Pds è stato di grande correttezza".

Dottor Nordio, è noto che lei sia di idee liberali. Ci potremmo chiedere pertanto se non abbia peccato di accanimento anticomunista...

"Bè, quando si viene dipinti come un "mangia rossi" aumenta la doverosa autocritica, proprio per non dare l’impressione di accanirsi verso un ambiente che non coincide con le proprie idee politiche. È più facile inquisire persone contigue alle proprie idee, quello è anzi un modo più forte per manifestare la propria indipendenza".

L’avvocato Alfredo Bianchini, difensore di Fontana, ha detto che lei ha fatto l’illusionista. Al processo per bancarotta ne ha associato uno virtuale e "politico" per reati inesistenti.

"L’avvocato Bianchini ha esercitato il suo legittimo diritto di critica. Tenuto conto delle persone che ho coinvolto e dei problemi suscitati dall’inchiesta direi che le reazioni finali sono state benevole".

Non ha provato frustrazione nel chiedere l’archiviazione per gli indagati "eccellenti"?

"Sarebbe stato più facile chiedere per tutti il rinvio a giudizio e poi magari criticare la decisione del giudice. Invece, se il Pm non è convinto profondamente di doverlo fare, deve arrendersi...".

Che vuol dire deve arrendersi?

"La parola è sbagliata. Meglio: deve prendere atto che l’ipotesi accusatoria è infondata. Per fortuna ci sono stati pochi provvedimenti restrittivi e per tutti vi sono state poi le richieste di rinvio a giudizio".

La gogna pubblica: non si è abusato delle manette pure nella Tangentopoli veneta?

"Furono arrestate delle persone poi prosciolte o che hanno avuto la sospensione condizionale della pena. Quindi non andavano arrestate. Abbiamo avuto anche un suicidio, quello del povero maestro Mazzolaio, che non si è suicidato in carcere, ma dopo, per pressioni esterne quando già era stato liberato. Dal quel momento ho cominciato a riflettere che forse stavamo esagerando...".

Anche lei?

"Anch’io, ma i provvedimenti erano legittimi, sono stati tutti confermati. Ma questo non significa che fossero necessari. Potevano anche essere sostituiti da altre misure. Quando io lo dissi al convegno di Cernobbio, ‘le anime belle della magistratura’ hanno replicato che potevo autodenunciarmi. Se tutti i miei colleghi si sentono in pace con la loro coscienza, beati loro".

La frattura con il "pool" è stata forte. Avete fatto pace o no?

"Guardi, a livello personale con Paolo Ielo è stata ricomposta. Ho ritrovato a convegni e trasmissioni tv sia Davigo che Colombo, non ne abbiamo più parlato, ma non ci sono rancori personali. Casomai sono incolmabili le differenze di idee sull’ordinamento giudiziario...".

E che fine hanno fatto gli altri filoni dell’indagine, come le assunzioni fittizie del Pci-Pds?

"Ho fatto almeno 50 stralci ad altre Procure". Le tangenti assicurative delle ferrovie? "Il fascicolo è andato a Roma per competenza".

Le proprietà immobiliari del Pci-Pds?

"Come sopra. Ma ho letto che il collega Pititto della Procura romana (lo stesso dell’inchiesta sulle ‘Foibe’ titine carsiche N.d.R.) ha chiesto il rinvio a giudizio per il cassiere del Pds. Per l’onorevole D’Alema credo abbia fatto il mio stesso ragionamento".

E i famigerati rimborsi ai "portaborse" dei parlamentari?

"Questo filone non può definirsi chiuso. Al contrario, è ancora aperto. Non posso dire nulla. Ma è stato precluso dall’osservazione dell’allora presidente della Camera – Giorgio Napolitano – secondo cui la gestione degli emolumenti è interna corporis, ovvero un fatto interno, e quindi non oggetto di valutazione da parte della magistratura".

E ora che la famosa Tangentopoli "rossa" si è trasformata in tanti rivoli, in tanti dissesti agricoli, cosa pensa di aver dimostrato?

" Vi è la ragionevole certezza che tutti i partiti della Prima Repubblica, in un modo o nell’altro, anche senza che ciò costituisca reato, siano stati finanziati in modo anomalo. E quindi siano vissuti al di sopra delle proprie possibilità. Tutti".

G. Luca Versace, Franco Colombini

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