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Passato... presente e... futuro?!?!?

Ultimo Aggiornamento: 11/12/2001 11:51
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Atomica russa sul Nord Italia (1965)

Bombe nucleari su Verona e Vicenza, pianura padana occupata e basi distrutte: nuovi documenti del Patto di Varsavia del 1965 dettagliano una guerra da 7,5 megatoni. L'Italia tra i primi Paesi Nato a cadere.
di Sofia Basso

MILANO - Verona e Vicenza "completamente distrutte" da due bombe nucleari, ciascuna 30 volte più potente di quella sganciata su Hiroshima, l'Italia del Nord occupata dalle truppe ungheresi, e atomica sulle basi aeree di Aviano, Piacenza e Ghedi e sulle divisioni corazzate Centauro e Ariete. E' questo lo scenario tracciato dagli strateghi del Patto di Varsavia nel giugno 1965, messo nero su bianco in documenti "top secret" ritrovati negli archivi ungheresi dal centro di ricerca svizzero Parallel History Project . Che negli obiettivi bellici del Patto di Varsavia ci fosse l'Europa occidentale si era sempre saputo: per la prima volta, però, documenti ufficiali confermano l'esistenza di piani dettagliati per la distruzione totale di specifiche città. Italia in prima fila.

Il presupposto dei russi era che la crescente tensione mondiale culminasse con un attacco nucleare a sorpresa contro l'Unione Sovietica e gli Stati satelliti, tra cui Budapest e altre città ungheresi. La reazione del Patto di Varsavia sarebbe stata immediata: alle sette di mattina del 23 giugno 1965, due bombe da 500 chilotoni si sarebbero abbattute su Vienna, due minuti dopo anche Monaco, Verona e Vicenza (entrambe sedi di comandi strategici della Task Force del Sud Europa) sarebbero state completamente cancellate da ordigni di pari potenza. Le truppe dell'Armata Rossa di stanza in Ungheria avrebbero distrutto il Secondo Corpo Armato della Germania occidentale e la Terza Armata italiana. Sull'onda di questa vittoria, le milizie ungheresi avrebbero poi distrutto le forze di riserva tedesche e italiane e occupato quella che i militari sovietici chiamano la "pianura lombarda", ovvero l'area compresa tra Stuttgard, Singen, Brescia e Bologna. Obiettivo? Eliminare subito l'Italia dalla guerra ed evitare l'arrivo di rinforzi Nato dagli Appennini.

I documenti trovati si riferiscono a un "war game", ma la precisione dei dettagli ha convinto i ricercatori svizzeri che l'esercitazione in questione ricalchi fedelmente un vero e proprio piano di guerra del blocco comunista. Data l'alta penetrazione dell'intelligence sovietica nei quartier generali della Nato e la precisione con la quale i militari ipotizzano le mosse dell'Alleanza atlantica, gli storici del Parallel History Project suppongono anche che i presupposti sovietici rispecchino reali piani bellici occidentali non ancora resi pubblici.

Lo scenario che coinvolge l'Italia prevede che il fronte Sud del Patto di Varsavia scarichi sul Germania e Italia bombe per una potenza totale di sette megatoni e mezzo. I sovietici stimavano che le perdite della Nato ammontassero al doppio di quelle subite da Ungheria e Russia. Dalle carte rese pubbliche è chiara anche la convinzione sovietica che l'Austria, benché all'epoca formalmente neutrale, avrebbe coperto l'attacco occidentale contro i Paesi del Patto di Varsavia. Da qui la mancanza di esitazioni nel colpire Vienna.


www.ilnuovo.it

Per il documento di simulazione, leggete qui:

Piano delle operazioni e simulazione

Oggi

Genova, Bossoli di due pistole diverse dove fu ucciso Carlo Giuliani
di red


Una svolta inquietante. A sparare il 20 luglio, in piazza Alimonda, quando venne assassinato il giovane Carlo Giuliani, non fu solo la pistola d'ordinanza del carabiniere Mario Placanica ma anche un' altra arma. È la conclusione della perizia balistica, depositata in procura dal perito Valerio Cantarella.
La perizia, ordinata dal pm Silvio Franz, titolare dell'inchiesta sulla morte di Giuliani, ha infatti stabilito che i due bossoli, uno trovato all' interno della camionetta dei carabinieri, l'altro per terra in piazza nelle immediate vicinanze, sono stati sparati da due pistole diverse, anche se entrambe del tipo in dotazione ai militari. Mario Placanica, accusato di omicidio volontario per la morte di Giuliani, nel corso degli interrogatori, ha ammesso di aver sparato con la sua Beretta calibro 9 due colpi di pistola. Ora la perizia apre un nuovo filone di indagine per scoprire chi quel giorno in piazza, oltre a Placanica, ha sparato un colpo di pistola.
Non vi sarebbero tuttavia dubbi sul fatto che ad uccidere Giuliani sia stato un colpo di pistola sparato dal giovane carabiniere a bordo della camionetta. Ad accusare infatti Placanica, non è solo il bossolo trovato all' interno della camionetta di cui la perizia ha accertato la compatibilità con la Beretta calibro 9, che aveva in dotazione. Anche la traiettoria del proiettile che ha colpito Giuliani è risultata compatibile con la posizione del carabiniere e del suo bersaglio. Dalla pistola di ordinanza del carabiniere sono risultati mancanti due colpi, ma questa circostanza non ovviamente ha alcun valore probatorio. La perizia apre dunque nuovi scenari sul teatro degli scontri di piazza Alimonda, che hanno preceduto la morte del giovane, avvenuta mentre partecipava all' assalto alla camionetta dei carabinieri, imbracciando un estintore. Si era già parlato di colpi di pistola sparati da altri poliziotti. In particolare un testimone degli scontri, Bruno Abile, fotografo freelance di Parigi, aveva raccontato che quel pomeriggio aveva sentito sparare in piazza Alimonda dei colpi di pistola. Racconta di aver visto i carabinieri in difficoltà, e un drappello di poliziotti poco distante, che non interveniva. «Io non capivo perché non andassero ad aiutare i carabinieri. Mentre fotografavo - raccontò il fotografo - ho visto un uomo in divisa senza scudo, forse un ufficiale, che impugnava una pistola. Ho sentito dei colpi. Pensavo fossero in aria invece ho visto cadere un ragazzo. Il proiettile gli è entrato nell' occhio destro e il sangue zampillava dall' occhio». Adesso bisognerà capire chi ha mentito, e perché.

Sapremo mai tutta la verità sulla repressione in Italia? Sulla svolta autoritaria, Fascista e squadrista di governo?

Sempre oggi, ma potrebbe essere ieri....

In carcere 44 esponenti del clan mafioso Santapaola
Il produttore accusato di avere comprato i voti ad Acireale

Voto di scambio a Catania Indagato anche Cecchi Gori?

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CATANIA - Associazione mafiosa, estorsione, rapina, voto di scambio: con queste accuse 44 persone sono finite in manette stamane a Catania. Si tratta di presunti appartenenti a Cosa nostra, legati alla famiglia Santapaola, che opererebbero nei comuni della riviera Jonica di Acireale e Fiumefreddo e in quelli della collina di S.Venerina e Zafferana. Il provvedimento è stato emesso dal gip Rosanna Castagnola su richiesta dei sostituti procuratori Amedeo Bertone, Giovanni Cariolo e Flavia Panzano della Direzione distrettuale antimafia di Catania.

Nell'indagine catanese comparirebbe anche un nome eccellente, quello di Vittorio Cecchi Gori: il presidente della Fiorentina sarebbe accusato di aver comprato voti ad Acireale per la sua candidatura al Senato. Come persona informata dei fatti il gip Castagnola potrebbe chiedere di ascoltare anche la sua compagna Valeria Marini.

I magistrati della Procura di Catania non rilasciano dichiarazioni sull'inchiesta, sollecitando il "riservo della privacy degli indagati". Si è comunque appreso che la squadra mobile di Roma ha compiuto una perquisizione nell'abitazione della capitale di Vittorio Cecchi Gori.

Nella stessa inchiesta sarebbe indagato uno dei sue suoi "rivali" elettorali: l'onorevole Basilio Catanoso, di An, presidente nazionale di Azione giovane e componente della Commissione nazionale antimafia. Ma in ambienti giudiziari si è appreso che la posizione di Catanoso è marginale e non riguarda l'ultima competizione elettorale in cui è stato eletto alla Camera dei deputati. Le accuse mosse a Catanoso, infatti, riguarderebbero un presunto appoggio ad un esponente del centro destra delle ultime elezioni comunali ad Acireale.

Dei 44 indagati, 29 sono finiti agli arresti, 15 raggiunti dall'ordinanza in carcere dove erano detenuti per altri motivi. Il clan Santapaola, cui apparterrebbero gli indagati, avrebbe "orientato" i voti alle politiche e alle amministrative nella zona con "la promessa o nella corresponsione di somme di denaro, dai cinque milioni in su, o di altre utilità al fine di ottenere consensi nello scambio elettorale politico-mafioso".

Interferenze mafiose anche nel mondo del calcio locale: esponenti del clan avevano minacciato i giocatori della squadra di calcio dell'Acireale di dare fuoco alle loro autovetture se non avessero continuato gli allenamenti. In cambio di questa 'mediazione' nella polemica che allora opponeva la squadra e la dirigenza, i boss si sarebbero fatti consegnare soldi, ma anche biglietti omaggio per le partite.

Nell'inchiesta anche episodi di estorsione ai danni di aziende ed esercizi commerciali e un giro di furti d'auto. Tra i vertici della cosca, gli investigatori indicano Sebastiano Sciuto, che era già detenuto, Paolo Vasta e Alfredo Quattrocchi per la zona di Acireale, Paolo Brunetto e Sebastiano Patanè a Fiumefreddo, Salvatore Di Mauro a Giarre e Antonino Cannavò nella zona tra Santa Venerina e Zafferana.

(11 dicembre 2001)

Seconda Repubblica? Dove?!?!?! [SM=x39943] [SM=x39938]

Domani

?

LuVi
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[Modificato da LuVi 11/12/2001 12:10]

11/12/2001 11:51
 
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