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Ascensore per il patibolo

Ultimo Aggiornamento: 17/04/2005 09:10

Una coppia di amanti calati nel tema ricorrente di far fuori il marito di lei, brutto vecchio prepotente odioso guerrafondaio, per conquistare soldi e libertà. Ma il meccanismo si inceppa. Un ascensore smette improvvisamente di funzionare. Due patetici sbandati si inseriscono nella trama e la complicano. Il piano che doveva essere perfetto si inceppa in una serie di coincidenze fortuite, di contrattempi, di incidenti.
E' il primo vero film di Louis Malle, girato nel 1957 all'età di 25 anni, ed è anche il film che lancia Jeanne Moreau e Maurice Ronet e che vede, tra i comprimari, alcuni monumenti del cinema francese degli anni a seguire: Jean Claude Brialy, Charles Denner. Lino Ventura. Sullo sfondo, una Francia quarta repubblica che si prepara a rimettersi nelle mani del generale De Gaulle e gli echi delle guerre coloniali in Indocina e Algeria. E una stupenda Parigi in bianco e nero, diurna e notturna, che Jeanne Moreau (chi mai potrebbe essere così stolto da rifiutarsi di ucciderle il marito per averla tutta per sé?) percorre da un boulevard all'altro, da un bistrot a un altro, con passo irrequieto, gli occhi appassionati e crudeli, i gesti aristocraticamente scostanti e una sorta di febbrile, sensuale compostezza che ne disegna la figura in modo indimenticabile.
Rivisto oggi, il film "tiene" in modo sorprendente nonostante certe ingenuità giovanili di Malle che indulge un po' troppo al desiderio di spiegare tutto (troppo) con la voce fuori campo della protagonista.
Senza saperlo, Louis Malle apre la via a quella stagione che si sarebbe chiamata della "Nouvelle Vague", dalla quale peraltro lui non vorrà mai far parte, non riconoscendosi nei sui vezzi e nei suoi vizi: manierismo, ideologismo, psicologismo, esistenzialismo di cui erano tutti malati (chi più come Godard, chi meno come Truffaut e chi per niente come Chabrol) gli intellettuali che ruotavano attorno ai Cahiers du Cinéma.
Ma c' è un elemento che ancora oggi carica il film di un fascino e di una suggestione straordinari, di un pathos inesauribile, ed è la leggendaria colonna sonora di Miles Davies. Talmente straordinaria che il film lo si potrebbe "vedere", e non è nemmeno un paradosso, a occhi chiusi.
Malle voleva una colonna sonora che facesse al film una sorta di contrappunto jazzistico. Qualcuno gli parlò di Miles Davies che allora, in Europa, era quasi uno sconosciuto. Miles Davies si presentò alle sei di un pomeriggio con la sua tromba e la sua band. Si fece proiettare il film e improvvisò sulle immagini che gli scorrevano davanti. Suonò fino alle sei del mattino. Quello che incise è il soundtrack del film. Un prodigio. Ascoltare, per credere.

Cercatelo, questo film. E' un noir teso e bellissimo, pervaso di atmosfere un po' alla Hitchcock e un po' alla Bresson; ed è anche una occasione per visitare una notevole rassegna di modernariato anni '50: i telefoni neri con il temperamatite elettrico incorporato, il calendario ad alette, le Peugeot a forma di scarafaggio, le Citroen traction ancora circolanti, le vecchie cabine del telefono, i taxi a vagoncino, la mitica Dauphine, l'onirica Mercedes 300 SL (quella con le portiere ad ala di pipistrello), gli abiti e le scarpe haute couture di Jeanne Moreau, le convertibili americane con la capote elettrica, le vecchie macchine del caffé, i primi ingenui motel americaneggianti. Cult allo stato puro.

17/04/2005 09:10
 
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