Il fotografo racconta la tragedia del Gottardo
"Ho visto quel Tir sbandare due o tre volte"
Ero nell'inferno del tunnel
di OLIVIERO TOSCANI
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MARTEDÌ sera. Un martedì sera meraviglioso. Eravamo andati a trovare nostra figlia Lola che studia in Svizzera. E proprio durante la cena, una cena bellissima in un piccolo ristorante di Lugano, io e mia moglie Kirsti avevamo deciso di fare un colpo di testa, di concederci una vacanza speciale, di lusso: andare a Parigi in macchina.
Fermarci appena dopo Basilea alla chiesa di Ronchamp, di Le Corbusier, che non vedevo da 20 anni; e poi un ristorantino a tre stelle, una passeggiata noi due soli... Insomma una roba romantica, di quelle che piacciono tanto a tutte le donne e che non si ha mai il tempo di realizzare. Il giorno dopo saremmo tornati alla realtà, perché proprio a Parigi, giovedì, mi aspettava un impegno di lavoro molto importante. E allora... allora domani amore mio sarà tutto per noi, domani ci regaliamo un giorno intero di vacanza. E niente aereo di questi tempi poi! niente ansie. Sarà come tornare indietro nel tempo. Io e te.
E' mercoledì mattina. Una giornata perfetta. Il cielo blu, terso, pulito come può esserlo, a volte, solo in Svizzera, dove anche le cose non pulibili diventano linde, pure. "Guarda Kirsti, guarda che giornata fantastica per partire... faremo un viaggo meraviglioso", dico a mia moglie e alle otto e mezzo siamo in auto. L'idea è di togliere la capotina alla Porche gialla al primo distributore per fare il passo del Gottardo dalla parte di sopra. Niente tunnel. Come facevo da ragazzo, quando studiavo in Svizzera e salivo su con la moto.
Ecco il distributore. Via la capote. Benzina. Cartina stradale. Ripartiamo. E succede l'impensabile. Sbaglio l'uscita per fare il passo e mi trovo d'improvviso con la grande bocca nera del tunnel spalancata davanti a noi: una visione spaventosa. Non solo per quel senso di smarrimento che coglie quando ci si trova di fronte a qualcosa che non avevi previsto, ad un tuo errore. Ma per quel dover affrontare su una un'auto scoperta la galleria. Kirsti si mette le mani sul naso per cercare, come può, di non respirare i veleni dei tubi di scappamento. Io rallento. Davanti a me c'è un camion. "Meglio tenersi a una buona distanza per non morire asfissiati e fermarsi alla prima piazzola per tirar su la capote", penso. Ce l'ho a 70-80 metri di distanza adesso, il camion. "Che strano... mi dico è come se sbandasse un po'... O l'autista ha sonno, o è ubriaco, o...".
A un certo punto eccolo che sbanda sulla destra. No, si rimette in carreggiata. Ma di nuovo ondeggia, e questa volta picchia contro la parete della galleria per rimbalzare verso sinistra. Urta un tir che viene in direzione opposta. Kirsti, Kirsti che a differenza di me sa per sua fortuna di essere mortale, grida subito: "Via, via di qui, Oliviero gira l'auto... qui esplode tutto...". E se esplode è come essere in una canna di fucile. Se esplode è finita. Due manovre. L'auto piccola, maneggevole, si gira su stessa. E mentre corriamo verso l'uscita del tunnel, mentre percorriamo a tutta velocità, in senso opposto, quel chilometro che ci separa dalla luce, facciamo segni con le braccia agli automobilisti incolonnati dietro di noi; lampeggio, urlo: "Via via andate via...".
Appena fuori, mia moglie si piazza in mezzo alla strada per fermare le macchine, per impedire che altre auto imbocchino la galleria. Lo dico sul serio: bisognerebbe darle una medaglia per la lucidità e il coraggio. Io corro dalla polizia che sta lì, appena fuori del tunnel. Dico: "Guardate che è successo qualcosa lì dentro... qualcosa di grave, dovete correre, dovete muovervi...". Dopo poco, dal tunnel esce una Audi blu. Sopra c'è l'autista del tir italiano. E' bianco come un cencio. Aveva cominciato a correre da solo nella galleria e la macchina che era subito dopo la mia, l'aveva raccolto.
La nostra fortuna era stata quella di essere la prima auto dopo il camion, questo pensavamo mentre in silenzio ci rimettevamo in viaggio verso Parigi. Parigi. Doveva essere un viaggio così diverso da quello che ora stavamo facendo salendo su per il passo. Lentamente. Dalle bocche d'aria del Gottardo, usciva fuori un fumo nero, denso. Era come se dalla montagna uscisse un respiro di morte. Poi avremmo ascoltato i bollettini via radio. Poi avremmo chiamato la polizia dicendo: "Noi siamo quelli della Porsche gialla, i primi testimoni dell'incidente". Poi... Adesso no. Adesso pensavamo che forse aveva ragione Lennon: che la vita è davvero qualcosa che ti succede mentre tu sei occupato a fare altri programmi. Adesso... Adesso la capote dell'auto era tirata su e noi ci trovavamo di nuovo al coperto, di nuovo al sicuro. Il cielo era diventato bianco di colpo. Nessuno spicchio di blu. Pioveva. Faceva improvvisamente freddo. Nuvole. Fumo nero dalla montagna. Ed è stata la prima volta, quest'anno, che ho visto l'autunno.
(30 ottobre 2001)
LuVi da "La Repubblica" online
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