L’UAAR, dopo aver chiesto un parere al proprio consulente legale, ha provveduto ad aggiornare i facsimili da inviare alle parrocchie con cui chiedere che sia annotata la propria volontà di non far più parte della Chiesa cattolica. I diversi moduli presenti sul sito sono stati tutti integrati con questa frase:
Si diffida dal comunicare il contenuto della presente richiesta a soggetti terzi che siano estranei al trattamento, e si avverte che la diffusione o la comunicazione a terzi di dati sensibili può configurare un illecito penale ai sensi dell’art. 167 del D.lgs. n. 196 del 2003.
La decisione è stata presa dopo aver constatato gli effetti di alcuni recenti interventi della Santa Sede e della Conferenza Episcopale Italiana. Il Pontificio Consiglio per i testi legislativi, con lettera circolare del 13 marzo 2006 inviata alle Conferenze Episcopali, firmata dal cardinale Herranz e approvata da Benedetto XVI, ha sostenuto che «l’atto di separazione sia manifestato dall’interessato in forma scritta», davanti al vescovo o al parroco. In seguito a chiarimenti chiesti dalla stessa CEI, il Pontificio Consiglio ha ribadito che «è sempre auspicabile il contatto personale con il fedele». La CEI, attraverso il suo notiziario di gennaio, ha portato a conoscenza della ‘novità’ il mondo ecclesiale italiano.
Le conseguenze non si sono fatte attendere. Sono infatti cominciate a pervenire allo sportello informatico S.O.S. Laicità, il servizio di consulenza gratuita messo a disposizione dal sito UAAR, numerose segnalazioni da parte di ‘sbattezzandi’, consistenti in convocazioni presso la diocesi o la parrocchia, pressioni telefoniche e, nel caso di richiedenti in giovane età, addirittura interventi sui genitori o su altri parenti per indurli ad ammansire la ‘pecorella smarrita’. È facile comprendere lo smarrimento che tali pressioni possono provocare in chi, ancora studente, dipende economicamente dalla propria famiglia.
Il termine più appropriato per definire simili atti è ‘barbarie’, perché sono comportamenti che violano i più elementari diritti umani. Da questo punto di vista non possono però essere definiti sorprendenti, perché sono suggeriti da un’organizzazione notoriamente refrattaria alla sottoscrizione delle convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo.
Ciò non toglie, tuttavia, che tali azioni vìolino anche l’ordinamento giuridico italiano. Ricordiamo infatti che:
- nel 2003 è stato presentato e accolto un ricorso al Garante della privacy, promosso tramite l’UAAR, contro la pretesa del Vicariato di Roma di chiedere allo ‘sbattezzando’ di presentarsi presso i suoi uffici «per dimostrare e controfirmare la sua richiesta in modo inequivoco». Il Garante chiarì che «la disciplina in materia di protezione dei dati personali non prevede che il mittente della nota raccomandata debba anche recarsi personalmente e necessariamente presso il destinatario»;
- diffondere la notizia della richiesta di ‘sbattezzo’ costituisce violazione del D.lgs. 196/2003, che all’art. 167 prevede che «salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell’articolo 129, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da sei a diciotto mesi o, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi».
Ci auguriamo che la diffida ponga immediatamente termine allo squallido fenomeno delle pressioni arbitrarie. La vicenda, tuttavia, fornisce un’ulteriore conferma dell’atteggiamento di dispregio nei confronti delle leggi italiane mantenuto dalle gerarchie ecclesiastiche. Un’arroganza che si nutre e prospera sull’indifferenza con cui il supremo principio costituzionale dello Stato viene quotidianamente picconato.
Raffaele Carcano
Coordinatore iniziative giuridiche UAAR
I buoni vannoinvece ioche sonovado dove voglio
Errare è umano, perseverare è cattolico