Me lo volevo gustare senza pregiudizi e così non ho letto nulla di questo film, nemmeno la ghiotta recensione di Marlowe.
Vi posto la mia, fresco fresco al ritorno dal cinema
---------------------------------------------------------
Warren Schmidt (Jack Nicholson) dirigente di una primaria compagnia di assicurazioni di Omaha (Nebraska), raggiunta a 66 anni l'età della pensione, inizia la classica vita da pensionato accanto alla moglie con la quale divide ormai da 42 lunghissimi anni la reciproca e triste sopportazione di tante coppie.
Ciononostante la metodica Sig.ra Schmidt resta per il protagonista l'unico punto fermo della sua scialba esistenza dopo la fine della carriera lavorativa, assieme alla figlia, ormai da anni lontana da casa e con la quale i contatti sono soltanto telefonici.
Agli “affetti” del Sig. Schmidt si aggiunge poco dopo un orfanello nero della Tanzania, di 6 anni e di nome Ndugu, di cui Schmidt assume l'adozione a distanza, per la “folle” cifra di 22 dollari al giorno. Come consigliato dal depliant di adozione, il signor Schmidt inizia a scrivere al piccolo Ndugu lettere che narrano con stile amaramente sarcastico la sua piatta esistenza di americano medio, così immensamente distante anche nei contenuti da quella del bambino.
La morte della moglie, avvenuta poco dopo, lo lascia attonito e lo getta nell'apatia, dalla quale decide di scuotersi progettando di raggiungere la figlia a Denver (figlia che sta per convolare a nozze) servendosi del mastodontico camper acquistato con la moglie per godersi felici vacanze da pensionato.
Il viaggio da Omaha verso Ovest porta così il signor Schmidt sulle tracce della casa della sua infanzia, al college dove trova ancora una sua foto appesa in una bacheca, a visitare musei e a parlare con quel variegato mondo di persone che popola le plaghe piatte e monotone del mid-west americano.
Arriva così a Denver, conosce la “famiglia” (le virgolette sono d'obbligo) dello sposo, partecipa al matrimonio della figlia nel quale pronuncia un discorso del quale soltanto lui conosce il graffiante significato, e infine se ne torna nella sua casa di Omaha, sempre più drammaticamente convinto che a nulla è servita la sua esistenza e che nessuno mai si ricorderà di lui, descrivendo tutto questo, nel consueto stile, al piccolo, lontanissimo Ndugu.
Eppure, inaspettato, arriverà qualcosa che restituirà alla sua vita un immenso significato, in un finale di film intenso ed emozionante come pochi.
Protagonista da Oscar un Jack Nicholson grandissimo e di nuovo on the road, molti e molti anni dopo EasyRider, e con tanti chili e tante rughe in più. La sua maschera tra l'imbambolato e il sarcastico che si porta dietro per tutto il film sembra ricordare a se stesso ( e a noi tutti) che qualcuno o qualcosa nella vita lo ha sicuramente fregato.
L'altro protagonista assoluto del film è certamente lo squallore.
Squallore delle periferie suburbane, delle persone sciatte e malvestite, dei rapporti umani convenzionali e superficiali, degli orribili arredamenti, delle cerimonie false e banali, squallore mirabilmente sottolineato dalla pressochè totale assenza di una colonna sonora, dai silenzi dei personaggi, dal grigiore dei cieli.
9 su 10 a questo film dai ritmi lenti ( da pensionato, per l’appunto - ma non annoia) adatto a chi ama trovare al cinema sensazioni e riflessioni .
Personalmente l'ho trovato splendido
[Modificato da wsim 18/02/2003 23.22]
[Modificato da wsim 18/02/2003 23.36]