00 26/11/2002 11:29
Pajno, i comunisti, la mafia
Nel settembre 2000 l'apertura del capitolo sui rapporti tra cooperative rosse e mafia (con quindici ordini di custodia cautelare, su iniziativa della Procura della Repubblica di Palermo) ha riservato sin dall'inizio molte sorprese. Ad esempio, è stato ricordato che nei giorni successivi all'aprile 1982 e alla uccisione di Pio La Torre, il primo a parlare di una pista interna al PCI era stato il procuratore capo di Palermo, Vincenzo Pajno, in una conferenza stampa.
Il giudice Chinnici nei suoi Diari definiva il procuratore capo Pajno un amico dei Salvo (cfr. Saverio Lodato, Dieci anni di mafia, Rizzoli, Milano 1990, pp. 140-141; Gianni Cipriani, I mandanti. Il patto strategico tra massoneria, mafia e poteri politici, Editori Riuniti, Roma 1994, p. 33), cioè un amico dei massimi rappresentanti della mafia siciliana, addirittura riconosciuti e condannati ufficialmente come mafiosi, fino al punto che il senatore Andreotti ha detto e ripetuto contro ogni verosimiglianza di non averli mai neanche conosciuti. Soltanto l'ipotesi di un normalissimo regalo avrebbe significato ammettere l'esistenza di un legame, per quanto minimo. Invece, con Pajno, figurati i regali: addirittura l'amicizia. Questa pista fu abbandonata, perché sembrava più un depistaggio che altro. Adesso si torna a parlare sia di questa vicenda, sia di molte altre, che sono ben più recenti e scottanti.
Infatti, che il vecchio PCI avesse rapporti consolidati con molti dei grandi imprenditori siciliani (inclusi quelli noti per la loro disinvoltura) era una cosa saputa e risaputa anche dai più sprovveduti. Napoleone Colajanni ha addirittura raccontato con orgoglio di aver preso i soldi "di persona, per il partito quando ero segretario della federazione di Palermo". Sembra che non gli sia passato neanche per l'anticamera del cervello che in tal modo in un certo senso legittimava anche altri che prendevano soldi dalle stesse persone. Certo, lui li prendeva per il comunismo e per il partito comunista, ma proprio questo induceva altri (non tutti, ma alcuni certamente sì) a non farsi scrupoli nell'accettare qualsiasi mezzo per combattere un comunismo che non era irreprensibile, ma anzi particolarmente pericoloso nella scelta dei mezzi. Anche dire che i soldi venivano consegnati interamente al partito non soltanto non è moralmente ineccepibile, ma soprattutto è una rappresentazione falsa e tendenziosa della realtà: il partito quei soldi in molti sensi li ritornava indietro, a quei tanti che ancora oggi godono i frutti di quelle tangenti, attraverso ad esempio lussuose pensioni. Peppino Impastato e tanti altri hanno veramente lottato contro la mafia; ma quelli come lui sono finiti come sono finiti, non sono certo finiti a godersi le pensioni d'oro.
E perché il PCI prendeva tangenti da imprenditori mafiosi o paramafiosi? Per realizzare i nobili ideali del comunismo internazionale, splendidamente difesi innanzitutto dall'Unione Sovietica di Breznev e dei gulag? Quei comportamenti eticamente vergognosi prima che legalmente delinquenziali sono continuati per molti anni, troppi anni, costituendo, come dire, un filo rosso nella storia, se non della mafia, certo della spiegazione di come la mafia sia riuscita ad esistere e a resistere per tanti anni.
La assai opinabile impostazione politica e morale di settori non marginali della sinistra è stata denunciata tante volte anche da persone di sinistra. Ma non è mai stato sottolineato abbastanza quanto sia stato devastante sapere che quelle forze politiche ostentatamente e platealmente in lotta per la legalità e per l'onestà adottavano metodi che sotto alcuni profili non differivano molto da quelli adoperati dagli altri. Sono verità che non sappiamo da adesso; sono verità che ad esempio Leonardo Sciascia aveva raccontato benissimo.
Ha scritto nell'ottobre 2000 il Tribunale della Libertà, a proposito di due indagati dalla Procura di Palermo: "Le cooperative rosse hanno stipulato accordi con i più alti vertici dell'associazione mafiosa per la gestione degli appalti pubblici". Apriti cielo: la responsabilità penale è personale ...non si può usare il termine cooperative rosse in maniera così generica...si possono chiamare in causa soltanto singole persone e imprese...eccetera eccetera. Il guaio è che i nomi e cognomi ci sono, e ci sono anche i miliardi, ad esempio quei 20, in beni e società, che sono stati messi sotto sequestro nel febbraio 2001 ad un imprenditore considerato "l'anello di congiunzione tra mafia e Ds". L'imprenditore è accusato di concorso in associazione mafiosa. Il Tribunale deve valutare in prima udienza il 5 aprile se confiscare il suo patrimonio. Chissà quante altre sorprese ci riserva il futuro...

[Modificato da chicochico 26/11/2002 11.56]

[Modificato da chicochico 26/11/2002 11.58]